Quando Google disse addio all’Authorship. E oggi?

Riprendo un argomento trattato ormai dieci anni fa, perché tornato ampiamente di attualità nell’ultimo periodo. In particolare, prendendo in considerazione le conseguenze degli ultimi “core update” (gli aggiornamenti definiti “principali”, avvenuti tra il 2023 e il 2024) relativi all’algoritmo di ricerca Google e al ruolo fondamentale che ha ora l’Authorship.

L’acronimo EEAT (Experience, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness, ossia: Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Affidabilità) riassume i criteri per valutare il livello di qualità di una pagina, di un sito (approfondimento a fine testo, in “Risorse”).
Al centro di tutto torna dunque, chi? Certo, l’autore.

Forse non tutti lo ricordano, ma dopo un lungo periodo di sperimentazione, nel 2014, Google abolì definitivamente l’Authorship. Erano i tempi del “Google Plus” con le fotine e il nome dell’autore in evidenza, già nell’elenco delle ricerche (potrebbe poi interessarti “G+, un social che non ce l’ha fatta“).

Facciamo dunque un passo indietro e riscopriamo cosa accade allora.

Quando è nato tutti sono rimasti sorpresi, un po’ perché non sapevano a cosa avrebbe portato questa piccola rivoluzione, un po’ perché si prospettava un futuro di post pubblicati da persone che “ci mettevano la faccia“.

Una soluzione per fidelizzare gli utenti, per portarli alla scelta del link da seguire in base alla fiducia riposta nell’autore.

C’erano pure le fotine nei risultati di ricerca, una personalizzazione maggiore, univoca, per dire “Questo l’ho scritto io, vai tranquillo!“.

Sembrava che tutto andasse per il verso giusto, con diversi, anzi tutti, webmasters e seo, impegnati nel mondo Google Plus (G+) e sulle sue interazioni con gli articoli pubblicati online e garantiti dall’immancabile Authorship.

A quel punto il servizio poteva, o sbaragliare il web e coinvolgere tutti, volenti o nolenti, oppure cadere pian piano nell’oblio dei fiaschi, con l’epic fail marchiato addosso.

Google pare abbia intrapreso la seconda strada. Prima ha tolto le fotine dal motore di ricerca e ora, secondo quanto scritto da John Mueller, il progetto verrà definitivamente abbandonato:

..we’ve also observed that this information isn’t as useful to our users as we’d hoped, and can even distract from those results. With this in mind, we’ve made the difficult decision to stop showing authorship in search results“.

John Mueller

E ora cosa accadrà a tutti quei portali web che hanno basato la propria forza sull’Authorship? Si deve eliminare tutto, ogni traccia di codice Google Plus?

La risposta al quesito è stata prontamente soddisfatta, grazie alle domande di un utente, Barry Schwartz, che ha chiesto al signor Mueller:

  1. Google continuerà ad utilizzare in incognito uno schema basato sull’Authorship?
  2. Dovremmo rimuovere quindi il codice Authorship?

John Mueller ha ribadito che Google non tratterà l’Authorship come ha fatto finora e che rappresenterà solo uno dei tanti codici presenti nei siti internet.

Per il secondo dubbio ha invece risposto che si potrà benissimo lasciare intatto il codice Authorship nelle pagine web gestite, non comporterà alcun problema; anzi, potrebbe comunque rimanere un valore aggiunto per i lettori che così potranno conoscere meglio l’autore del testo che stanno leggendo.

Anche il messaggio che appare su Webmasters Tools (Strumenti per i Webmaster, oggi chiamata “Google Search Console”) lascia poco spazio alle speranze:

Webmasters Authorship
Authorship Webmasters Tool

Quale sia il motivo di tale scelta non è dato sapere a noi comuni mortali che possiamo solo far fede alle dichiarazioni ufficiali. Qualcuno ha ipotizzato che si tratti di una strategia commerciale; forse l’Authorship stava facendo calare i click sui banner pubblicitari e di conseguenza le entrate Adsense. Chissà.. .

Risorse: EEAT e linee guida per i valutatori della qualità.

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