Uber in Italia e in Europa: legale o illegale?

Da circa un anno molti italiani hanno iniziato a conoscere un servizio nato negli Usa che, attraverso l’utilizzo di una app (applicazione) su smartphone o tablet, permette di prenotare un’automobile con autista e decidere dove andare. Ma di cosa si tratta? In pratica è il medesimo lavoro fatto dai taxi, con la differenza che Uber si basa su una rete di cittadini privati che mettono a disposizione il proprio veicolo e, in prima persona, senza possedere particolari licenze, si occupano del trasporto del cliente.

Uber risulta particolarmente conveniente al consumatore, per quanto riguarda l’aspetto economico. Inoltre, su ogni tratta, l’azienda americana si prende il 20%, mentre il restante 80% viene incassato dai privati iscritti al servizio, chiamati “Driver”.

In Italia, dove esiste un monopolio del trasporto privato, garantito dai tassisti, ovviamente è subito scoppiata la polemica tra coloro che hanno sudato per ottenere la licenza, sborsando parecchie migliaia di euro, e i privati cittadini, magari disoccupati, che hanno visto in Uber un’opportunità di guadagno.

A sostegno della categoria taxi si sono schierati diversi partiti politici e istituzioni, a partire dal ministro dei trasporti. Uber viene definito illegale e rischioso per i consumatori, poiché privo di controlli di sicurezza. Il cliente sale sopra un’auto di un perfetto sconosciuto, i cui riferimenti si possono trovare solo online, tramite l’apposita app.

Tuttavia, esiste un sistema di giudizio, nel nuovo servizio, che dà la possibilità ai clienti di esprimere un voto sul singolo autista. Questo crea una sorta di classifica, con i migliori e i peggiori driver, consultabile dall’utente, il quale potrà così meglio decidere da chi farsi dare il passaggio. A quanto pare, se i voti negativi son troppi, viene escluso dalla rete il driver in questione.

Alcuni consiglieri, assessori, hanno dichiarato che, più che debellare Uber, si dovrebbe trovare un accordo e migliorare il servizio taxi. Poiché l’aspetto economico (il risparmio sul trasporto offerto dall’applicazione) non è da sottovalutare in un momento di crisi economica e occupazionale. I taxi non sono particolarmente convenienti, in quanto a tariffe. Inoltre, si potrebbe prevedere un sistema di voti e giudizi anche per i tassisti, in modo da migliorare il servizio nazionale.

D’altra parte si devono affrontare due questioni importanti, riguardanti Uber: la sicurezza e il fisco. Il consumatore deve poter usufruire del trasporto senza rischi (la società americana garantisce la fedina penale pulita dei driver) e lo Stato Italiano deve inquadrare questo tipo di attività per capire quali siano i soggetti al pagamento delle tasse.

Inutile dire che in Italia, come in molti altri settori, esiste un buco normativo su questo tipo di servizi. Siamo un paese che ha leggi per ogni cosa, ma alla fine, la loro natura contorta e le continue modifiche, abrogazioni, hanno dato alla luce un sistema che fa acqua da tutte le parti. Soprattutto per quanto concerne tutti quei strumenti moderni, collegati ad internet, ci troviamo ancora all’età della pietra. Ma cosa accade negli altri stati europei?

Uber negli altri paesi d’Europa (legale o illegale?)

Smartphone, internet

Su questo tipo di servizio l’Italia non è l’unica a trovarsi in difficoltà. Ad esempio in Francia, il governo ha dichiarato che Uber sarà bandito su tutto il territorio (e pensare che proprio a Parigi, nel 2009, è venuta l’idea della app al fondatore dell’azienda californiana, Travis Kalanick). In Germania si è creato il caos, perché, mentre i tribunali di Francoforte hanno dato l’ok agli utenti privati che forniscono i passaggi, Amburgo e Berlino hanno detto “no”. In Spagna, un giudice della capitale ha sospeso integralmente il servizio Uber.
La guerra, contro l’invasione USA nel settore trasporti privati in Europa, è scoppiata anche in Olanda e Belgio.

Ben più grave quello accaduto in India, dove Uber è stato sospeso in seguito ad una denuncia, nei confronti di un autista, per violenza (stupro) ai danni di una donna. L’app non è ben accetta anche in Brasile, in Thailandia e in Australia (qui per problemi tecnici, dopo l’aumento esponenziale delle tariffe in seguito ad un attentato, con successiva promessa di rimborso da parte della società).

Concludendo: anche se Uber non si è ancora arresa e continua la sua incursione nei difficili e insidiosi mercati mondiali del trasporto privato, si registra un aumento delle “barricate normative” in vari paesi, pronti a contrastare il nuovo servizio a portata di smartphone.

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